Ghost Story – Il film del 2017, firmato da David Lowery, continua a farci riflettere su quello che resta dopo di noi
Inizio e fine hanno in comune il limite di un mondo. Che sia quello reale, o quello virtuale, o addirittura quello che non vediamo, è poco importante. Dopotutto un fantasma è l’apparizione che si mostra agli occhi perspicaci del senziente o del bambino, colui che è tra due universi paralleli, in attesa.
Inizio e fine sono uniti dalla soglia, dallo stipite di una porta in cui racchiudere un messaggio che nessuno leggerà.
A Ghost Story – Storia di un Fantasma, film del 2017 di David Lowery con Casey Affleck e Rooney Mara, comprime in 87 minuti di pellicola un senso di malinconia concitata. È un film evanescente che smuove i ricordi di vecchi fotogrammi da rigirare fra le mani, come lo stesso girato inusuale in un 4:3 e i bordi smussati, scelta formale vincente.
E proprio quel gesto del “riportare al cuore” induce lo spettatore ad un’intima commozione che un po’ annebbia occhi e pensieri.
È inevitabile ritrovarsi invischiati in uno stato vagante di solitudine e rimpianto.
Siamo immersi in una storia d’amore, interrotta dal tragico incidente del protagonista, destinato a restare intrappolato nell’abitazione come una figura spettrale, tristemente muta.
Un fantasma anti-convenzionale nel viaggio del tempo
Non parliamo del classico fantasma “monstrum” delle favolette per bambini che appare nel tanto temuto buio, o di quello di Halloween del dolcetto e scherzetto, in questo film siamo di fronte alla tenera quanto grottesca rappresentazione di un’anima ricoperta da un lenzuolo candido che osserva lo spazio e il tempo. Un drappo bianco imponente che non resta immacolato, ma anzi sembra risentire dello scorrere temporale, circolare e annodato tra passato, presente e futuro.
Ed è proprio questo uno dei temi centrali del film, un fluire incessante del mistero che regola la vita umana, assieme ad una riflessione disincantata su quello che di noi resta in un universo destinato ad estinguersi.

Ma è davvero così?
In questo periodo dell’anno siamo indotti a riflettere, in maniera più intensa al cambiamento che leggiamo nella natura. Perdiamo capelli come le foglie degli alberi, dopo aver colorato la pelle del sole dell’estate, la rinnoviamo o (ritroviamo?) nel pallore dei colori freddi dell’inverno.
Storia di un fantasma imprime questa sensazione, ragionevole quanto implacabile, che fine e inizio sono di fronte alla specchio e l’ombra di noi stessi, a volte, è ricoperta da un lenzuolo.

Gabriella Birardi Mazzone