L’incolmabile “spazio vuoto”: addio Peter Brook

Quando ti iscrivi all’università e decidi di studiare teatro ci sono dei nomi che ritornano sempre, qualsiasi sia l’esame, il contesto, il pubblico. Fra questi nomi per esempio c’è Giorgio Strehler, Jerzy Grotowski, Dario Fo e tanti altri, ma sicuramente non può mancare Peter Brook.

Un po’ come Giorgio Vasari torna spesso negli studi degli storici dell’arte medievale e moderna, così è Peter Brook per chi ha scelto di dedicare gli anni universitari allo studio del teatro.

È anche per questo che leggere la notizia della sua scomparsa, sebbene sia avvenuta all’età di 97 anni, ha spezzato i cuori di noi amanti del mondo dietro al sipario.

peter brook

Riassumere il valore e il cambiamento che ha portato in scena è una missione che non ci poniamo nemmeno come obiettivo, questo è solo un umile omaggio.

Potremmo citare il suo rapporto con Grotowski, o la sua prima messa in scena del capolavoro di Christopher Marlowe, o ancora il suo Mahabharata, ma anche ogni traduzione shakespeariana, classica o innovativa.

Brook è stato tante cose. Un innovatore, un genio, una colonna, un regista, un idealista. Il suo era un teatro fatto di segni in cui riscoprire chi siamo, un viaggio nell’animo umano, un viaggio che alla fine ci porta alla scoperta di noi.

La sua arte ci fa capire di essere anime portatrici di un racconto. Grazie al teatro di Peter Brook possiamo scoprire la nostra primitiva necessità di narrarci, per salvarci. E tutto questo accadeva e accadrà ancora con tutta la semplicità di cui era portatore.

Grazie Peter per essere stato una certezza nella nostra formazione. Grazie per averci trasmesso che uno “spazio vuoto” può essere riempito di immaginazione e che anche tra due corpi in relazione, uno che guarda, l’altro che è guardato, si racchiude tutta l’essenza che l’umanità fin dall’inizio della sua Storia chiama Teatro.

Peter Stephen Paul Brook (Londra, 21 marzo 1925 – Parigi, 2 luglio 2022).

Noemi

Gabriella