Guarda tutto a posto, da quel che vedo invece tu l’opposto. Sono sopravvissuto al bosco ed ho battuto l’orco. Lasciami stare fa uno sforzo e prenditi il cosmo. E non aver paura che…
Caparezza, Una chiave

La pioggia che non cade da mesi dal cielo, ti penetra nelle ossa appena appare come le lacrime sulle statue delle Madonne. Miracoli, abbagli rilucenti.
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Scende piano sul Castello, calando sincera senza dispersione sulle pareti centenarie, rifugio di viandanti e pellegrini. È un’aria strana, senza vento – pensa Greta, che lavora lì da poche settimane. Un ufficio turistico un po’ abbandonato le è stato affidato in quell’estate senza vacanze. Le sue finanze sono al collasso e l’unica soluzione possibile è quella di lavorare, nonostante un anno intero di sacrifici e rinunce. Quel pomeriggio si trova lì da sola, senza nemmeno la collaboratrice Jo che ha deciso di prendersi una pausa momentanea per godersi un po’ il mare di agosto. Chissà se qualche turista richiederà un tour delle stanze del Castello, nonostante il temporale. Greta dubita fortemente che qualche anima si precipiti lì con la forsennata volontà di conoscenza storica, per cui si concede di sistemarsi su una poltroncina dell’ufficio con un libro di compagnia, dopo aver controllato che tutto sia a posto sul pc e sui vari file da aggiornare. Ma le parole sulla pagina bianca si perdono ed incrociano in danze come sciami di storni a quelle di Dorian, pronunciate qualche sera prima. Sono nei pensieri di Greta. Lui è nel pensiero di Greta. Ogni micromovimento registrato, ogni sguardo, ogni tocco, ogni singola carezza delle sue mani sulle parti di pelle che non trovavano refrigerio al suo fuoco, ma solo incendio ed ancora incendio, tutto questo si infrattava nei filamenti astratti e sparsi del cervello di lei per trovarne contezza e verità. Si erano visti tre volte. Alla prima si erano innamorati col primo aggancio di occhi, alla seconda si erano consegnati l’anima e alla terza una specie di sciagurato addio. Tutto complicato. Forse in un’altra vita erano predestinati a vivere assieme cento volte cento quei momenti. In questa, invece, costretti a scontare la pena di una distanza, evidente e malcelata. È un tarlo che scava a fondo quello degli amori impossibili, lento ed inesorabile, incurante della voragine che produce.
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Il temporale imperversa potente e senza tregua con un vento impetuoso che con uno scoppio fa battere una delle imponenti porte del Castello. Il cielo plumbeo ha fatto scendere sulle pietre una cortina di oscurità. Ci sono solo ombre. Greta rifugiata nel suo ufficio, osserva un po’ preoccupata da dietro la vetrata ad arco questo scenario apocalittico. Passa un secondo. Salta via la corrente elettrica. Merda! – esclama, confusa e sbalordita dall’incapacità del luogo di far scattare almeno la luce di emergenza. Muovendosi piano per evitare di travolgere le sedie o la libreria, riesce a recuperare il suo cellulare e ad accendere la torcia. Per fortuna Jo le ha spiegato fin dall’inizio tutto sul funzionamento dell’illuminazione all’interno del Castello. Afferra le chiavi del salone principale con l’obiettivo di riavviare i pulsanti del contatore. Cerca di farsi strada con cautela lungo la ripida scalinata che la condurrà lì, già di per sé buia, ma ora decisamente inghiottita da una pece nera. Poggia il piede sull’ultimo gradino, un soffio sulla caviglia scoperta, improvvisamente gelido, un lamento straziante, poi più nulla.
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Un display si illumina al buio, emettendo una vibrazione forte e diaframmatica, un polmone artificiale. Greta apre appena gli occhi e non sa dov’è, immersa in una nuvola densa di nero. Riesce dolorante, per il forte impatto al suolo, ad afferrare il cellulare e la chiamata in entrata della collega Jo. “Ehi, Greta? Ci sei? Ho provato a chiamarti già due volte. Qui la tempesta di pioggia mi ha fatta tornare prima a casa… Greta, Greta, ci sei?”- la voce energica dall’altro capo del telefono sembra non trovare riscontro nel silenzio sospetto della giovane che non riesce ancora ad emettere suono. “Sì – biascica debolmente – scusami, non avevo sentito la chiamata in entrata. È saltata la corrente elettrica al Castello per il forte temporal…”
“Ma stai bene? Hai una voce strana…” – la interrompe Jo.
“Sì… sì… non preoccuparti – mente – ora devo lasciarti e sistemare qui…”
La conversazione si interrompe, ma il pensiero di quanto accaduto prima di quella caduta rovinosa sul pavimento del salone inizia a delinearsi nei contorni non solo dell’immaginazione, ma di un’inquietante realtà. Cosa aveva sentito prima dell’impatto? Quel freddo improvviso come di morte lungo la sua caviglia, un lamento… ma era stata lei a produrlo? Chi, sennò?
Domande e ancora supposizioni plausibili affollano la mente di Greta, scossa, ancora al buio e con uno strano presentimento. Di nuovo avverte dietro al collo quel soffio gelido e poi un bisbiglio piccolo acuto e perforante: “Sono qui”.
“Chi c’è?!” urla, in preda ad una paura sino ad ora inesplosa. Solo un’eco è la risposta. Ma in quell’oscurità senza direzione, riesce a scorgere un bagliore, un lento fluttuare di lembo bianco che avanza verso di lei. Stranamente viene invasa da una calma arcaica, sopita, sembrerebbe sotto ipnosi. Quel fluido drappo che veleggia bianco nel buio mostra le sembianze eteree di una donna, splendida, diafana come un essere sacro.
“Mencia…” bisbiglia Greta con voce fioca.
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Non credeva ai suoi occhi che la leggenda potesse essere vera. La storia di Mencia, che dal lontano 1500 raccontava ancora di libertà e d’amore l’aveva sempre affascinata. Si racconta che la giovane fanciulla si innamorò di un ufficiale spagnolo e, opponendosi alle consuetudini del tempo, decise di fuggire con il suo amante ed un piccolo gruzzolo di denaro rubato ai suoi parenti.
Ma i due innamorati presto furono rintracciati e l’ufficiale spagnolo fu condannato a morte per impiccagione. Mencia non solo perse l’amore della vita, ma fu costretta a sposare un uomo ricco e crudele che le usava violenza, fino a quando decise di ingerire un potente veleno che pose fine alla sua sventurata esistenza. Voci dicevano che si aggirava ancora per il castello con le orbite oculari vuote, ma di fronte a sé Greta non vede di certo questo. È piuttosto quasi certa di essere in un sogno assurdo, perché l’eterea figura dell’aldilà ora non la turba più.
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“Sono qui”. Quella voce così decisa proviene da quel corpo appena accennato e splendente. “È amore quello che senti. Non perderlo.” – aggiunge, come se sapesse persino l’ultimo segreto della terra e conoscesse l’origine del moto dell’universo. Greta non riesce a proferire suono, è incantata dal sogno, non comprende quanto quelle parole le risuoneranno dentro per molti, molti anni.
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Il tempo del miraggio termina in un secondo, la luce si riattiva all’improvviso e Greta si ritrova nel grande salone del Castello con il volto rigato dalle lacrime. Onirico e reale perdono i contorni, ma quella frase pronunciata dall’anima bianca la percuote dentro. Come faceva a sapere cosa stava provando in quei giorni? Come poteva credere ancora nell’amore, se qualsiasi incontro risultava fallimentare e distruttivo? Dorian le sembrava davvero diverso; quel primo incontro a raccontarsi di tutto, così tanto, senza difese, nudi nel loro essere. Ma spesso ci illudiamo che ogni incrocio del destino abbia il suo giusto tempo, magari avviene proprio quando noi non possiamo averne cura.
“Se solo fossi qui, io non ti avrei lasciata scappare via”, quelle parole di Dorian avvinte in un abbraccio, le si erano incollate addosso come quel bacio di risposta che non conosceva più respiro.
Greta torna al presente e lascia svanire quel pensiero dolce e assieme doloroso. Ridiscende con passo stanco la scalinata che la porta nell’ufficio. Il temporale sembra essersi dileguato, lasciando un alto grado di umidità, ma anche il posto per un inaspettato tramonto aranciato oltre il ligneo portone di ingresso.
Si incanta nell’osservare la linea che le nuvole tinte dei colori del sole morente tracciano oltre i palazzi. Troppo presa da quell’incendio cromatico di fine giornata, non si accorge di un volto emerso lungo la strada; uno sguardo intenso che l’osserva, una figura slanciata e attenta.
Gli occhi di Greta passano dal cielo all’orizzonte infinito ed, infine stupiti, si agganciano a quelli di Dorian. È lì, forse trasportato dal desiderio, forse perché non ha mai posto la parola fine ai loro incontri. Le sorride e avanza verso di lei che ha la netta sensazione di non aver mai smesso di sognare quel giorno: “Vorrei che noi restassimo qui, insieme”.
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Certi amori impossibili fanno paura solo nei pensieri, quando siamo noi a creare fantasmi, dimenticando come l’anima possa fluttuare leggera e trasparente al buio.
Ma là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva. – Hölderlin
Gabriella Birardi Mazzone
*NdR: ogni riferimento a fatti o persone realmente esistiti è puramente casuale. L’ispirazione del racconto è legata alla leggenda dei fantasmi del Castello Normanno-Svevo di Sannicandro di Bari (BA)