Un raro esempio di quando il film in italiano è meglio dell’originale
Frankenstein Junior film iconico del 1974 diretto da Mel Brooks che ci fa ridere da quasi 50 anni. Questo remake parodistico di Mel Brooks del celebre romanzo, ottenne ben due candidature agli Oscar: miglior sceneggiatura non originale e miglior sonoro. Iconica infatti rimane la melodia suonata con il violino per calmare il Mostro.

Il regista scrive il soggetto e la sceneggiatura insieme ad una colonna portante non solo del film ma di tutta la storia del cinema in generale: Gene Wilder.
La genesi di Mario Maldesi, papà italiano di Frankenstein Junior
La cosa che però a mio parere lo rende unico, è il suo doppiaggio e la traduzione della sceneggiatura dall’inglese all’italiano. Questo per far capire quanto siano importante tutte le figure professionali che lavorano attorno ad un film.
La traduzione del testo fu affidata a Mario Maldesi, direttore del doppiaggio e dialoghista che lavorò al film e che decise di rimettere le mani sulla sceneggiatura proprio in fase di doppiaggio, trasformando una traduzione letterale e mediocre, in un capolavoro.
Francesco Braun, uno studente di doppiaggio cinematografico che ha dedicato al tema la sua tesi, spiega che Mario Maldesi aveva visto il film in America, divertendosi un sacco e capendo fino in fondo le potenzialità comiche della pellicola. Fu per quello che intuì che le potenzialità comiche del film di Mel Brooks rischiavano di essere distrutte nel passaggio dal testo originale a quello tradotto in italiano. C’è una scena che spiega, meglio di altre, la straordinaria bravura e il perfetto senso del comico che permisero a Maldesi di sfruttare al meglio la potenzialità comica dei dialoghi originali.

Storia del doppiaggio: Lupululà-Castellululì
È la scena che è passata alla storia come quella del “Lupululà-Castellululì”: Igor, è appena andato in stazione a prendere il dottor Frederick Frankenstein, guida il carro verso il castello, mentre Inga, l’assistente bionda del dottore, sentendo dei lupi ululare, si spaventa. Segue un dialogo surreale tra il dottore e Igor, che in inglese si basa su un gioco di parole che in italiano sarebbe stato intraducibile. È proprio in quel momento che si vede il genio di Maldesi.
Nella versione inglese, lo scambio di battute tra il dottor Frankenstein e Igor puntano sul gioco di parole tra la domanda di Inga «Where wolves?», e il fraintendimento del dottore, che capisce «Werewolves?» ovvero licantropi. Frankenstein si spaventa e chiede a Igor: «Werewolves????». In quel momento Igor, che interpreta il “Where wolves” come un modo strano di parlare, fa, in tutta risposta: «There». «What?», dice il professore che non capisce che diavolo stia dicendo Igor. «There Wolves! There Castle!».
In inglese, dunque, è un gioco di parole, nemmeno troppo esilarante in realtà. È Maldesi che, reinterpretando l’originale, la trasforma in un piccolo gioellino di umorismo all’antica, e si inventa il Lupululà Castellululì.
Una piccola nota personale
Se mi concedete una nota sul film a livello personale, credo di averlo visto almeno trenta volte e credo che ogni volta sia sempre più divertente. Penso anche che che Gene Wilder esprima 105 emozioni diverse come 105 sono i minuti del film. Penso che sia tra i miei film preferiti sia di Mel Brooks che di Gene Wilder. E penso anche di non poter essere amica di chi non risponde correttamente quando dico “Potrebbe andare peggio..”.
Ottavia Squarti