Recensione Mondocane, un film post-apocalittico che traccia i confini della società

Christian/Pisciasotto e Pietro/Mondocane

Mondocane: il film

Mondocane – In quale punto finisce la società e inizia l’individuo? Da quale momento ci accorgiamo che il singolo non può più essere rappresentato dalla sua comunità? Forse quando ad emergere è la ragionevolezza e l’incapacità di stare al pensiero unico, un vantaggio per l’uomo ma uno svantaggio per la Società che può anche dichiarare di aver perso la sua battaglia di unificare le persone. O forse è là dove esiste un fuoco innato che vibra e tremola per la libertà. Cosa e chi sceglie se stare dentro o fuori? Come lo si decide?

Mondocane è un film diretto da Alessandro Celli, presentato alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e distribuito nelle sale dal 3 settembre 2021. Strabilianti e colorite le interpretazioni dei due giovanissimi attori protagonisti: Dennis Protopapa nel ruolo di Pietro/Mondocane, riflessivo e oculato, e Giuliano Soprano nel ruolo di Christian/Pisciasotto, più focoso ma esitante.

La pellicola vede anche la partecipazione di Alessandro Borghi, messo in campo quasi per dare quel tono “underground” ad un film che altrimenti non avrebbe visto sollevare di molto i numeri al botteghino. Nel film anche Barbara Ronchi nel ruolo di una poliziotta dal passato misterioso e la giovane Ludovica Nasti, già vista ne “L’amica Geniale”, nei panni di una bambina orfana.

Trama

Il film è ambientato in una Taranto del futuro, deserta e divisiva, caotica e deturpata, circondata da un filo spinato, con edifici abbandonati e occupati, ingombranti fabbriche che sembrano mettersi in moto da sole, spiriti ribelli e occhi sognatori che guardano aldilà. A mietere terrore è il gruppo delle Formiche, una gang di piccoli delinquentelli capeggiata da Testa Calda (Borghi), una sorta di Mangiafuoco coi baffoni alla Nietzsche, che sopravvive tra furti in ville lussuose in stile Arancia Meccanica e rapine disastrose. Pietro e Christian sono due orfani che provano a dare un senso alle loro vite ma soprattutto aspirano ad entrare in quella rete di banditi che anima il sottosuolo della città e dona un’aurea di rispetto a chi ne fa parte.

Mondocane, un’opera mancata

Prostituzione minorile, sfruttamento, legami familiari, lealtà e amicizia. Sono questi i temi che ritroviamo in un film troppo poco contestualizzato in quella realtà geografica che invece avrebbe avuto molto altro da raccontare.

Il vero fil rouge di tutto il film sembra essere il rapporto tra Pietro/Mondocane e Christian/Pisciasotto, soprannominato così per le crisi epilettiche da cui è affetto. Quanto l’uno è disposto a rinunciare per l’altro e quali segreti riescono ad insinuarsi in quelle loro vite vissute sempre a stretto contatto.

Una liaison che finisce per essere talmente umana da sembrare animalesca: vince chi resta in piedi e chi si piega alla piramide.

Agire in solitaria, convinti esclusivamente delle proprie idee, non fa sopravvivere. Bensì ti fa scacciare dal branco nel modo più violento possibile, facendoti sentire un traditore. Non c’è spazio per chi affina la mente e temporeggia sulle azioni. Non è benvenuto chi non dipende dal clan e mette in dubbio le ragioni del padrone. Vive chi ubbidisce e non ha istinti di ribellione, ma anche chi ha talmente paura da non sapersi reggere sulle sue gambe. E quindi a regnare è la convenienza, la rinuncia alla libertà individuale e l’asservimento ad una finta fratellanza che ti segna i passi da percorrere.

Mondocane è una storia post-apocalittica che perde l’occasione di approfondire le storie di altri personaggi lanciati nella sceneggiatura senza un vero aggancio narrativo. A disturbare è anche l’utilizzo di un dialetto pugliese stretto ma altalenante. Non si trova una giustificazione del motivo per cui Testacalda, un criminale figlio di quella Taranto “jokeriana”, abbia una parlata forbita e non colorita, come invece gli si addirebbe.

Ludovica Nasti

Il regista

“Questa distopia non nasce come un racconto di fantascienza, ma è ispirata dal vivo dibattito sulle sorti dell’acciaieria di Taranto e della sua gente. Ho immaginato un fallimento sociale, la regressione a un Terzo Mondo dai grandi contrasti”, ha spiegato nelle note di produzione il regista. Il film vuole essere anche una finestra di riflessione sulla Taranto dell’Ilva e sulla politica del paese.

Riflessione finale su Mondocane

Un film tutto sommato avvincente per gli amanti del genere. Da apprezzare soprattutto l’esordiente interpretazione della coppia Protopapa/Soprano e poi, ovviamente, quella di Alessandro Borghi che oramai, in qualsiasi film compaia, lascia la sua valida traccia attoriale, un vanto della nostra nazione.

Elisabetta Di Cicco